MAURICE LOUCA & THE ELEPHANTINE BAND
Daniel Gahrton (alto saxophone), Isak Hedtjarn (clarinet & bass clarinet), Pasquale Mirra (vibraphone), Maurice Louca (electric guitar), Konrad Agnas (drums) Rasmus Lund (tuba), Rosa Brunello (bass), Piero Bittolo Bon (baritono & alto saxophone), Tommaso Cappellato (drums & percussion)
Bio :
MAURICE LOUCA
Maurice Louca, musicista e compositore egiziano nato al Cairo, è una delle figure più dotate, prolifiche e sperimentali della fiorente scena artistica sperimentale egiziana odierna.
Maurice Louca negli ultimi anni si è guadagnato una reputazione globale attraverso due precedenti album da solista ed una continua formazione ed evoluzione ricca di collaborazioni che sfidano il genere. The Wire ha definito il suo secondo lavoro da solista del 2014, Salute the Parrot, “musica notevole, densa e piena di colore”. Nel 2017, l’omonimo debutto di Lekhfa, il trio di Louca e dei cantanti Maryam Saleh e Tamer Abu Ghazaleh, è stato elogiato come un “trionfo tagliente” in The Guardian.
Per Louca, Elephantine, il suo terzo e più ambizioso album, rappresenta sia l’apice della sua vasta esperienza ma anche un audace passo nella sua crescita come compositore, arrangiatore e direttore d’orchestra. Si tratta di una panoramica musicale di 38 minuti eseguita da una dozzina di musicisti, si ispira principalmente ai brillanti musicisti della sua comunità artistica, in particolare a Land of Kush del collaboratore Sam Shalabi. Quell’ensemble fuori misura e ultraterrena, spiega Louca, gli ha fornito il catalizzatore per realizzare: “quest’ idea di scrivere per band più grandi che pensavo fosse riservata solo a personaggi come Frank Zappa su questo mondo”. È stato ulteriormente incoraggiato dalla straordinaria musicalità empatica del suo gruppo: un ensamble multinazionale che abbina l’estetica onnicomprensiva che scaturisce da musicisti provenienti da Egitto, Italia, Iraq, Svezia, Turchia e Danimarca.
La musica con le sue pause pensierose dai tratti ipnotici incalza fino a momenti di catarsi avant-jazz, testimonia questo rapporto. Una performance continua, i sei brani di Elephantine si presentano come suggestivi paesaggi. Il brano “Il lebbroso” entra attraverso un abile uso della ripetizione che Louca ha ereditato dal jazz cosmico, dalla musica africana e yemenita e da altre tradizioni modali trascendentali. Coloro che hanno seguito il lavoro di Louca potrebbero paragonarlo ai Nani di East Agouza, il suo carattere ipnotizzante con Shalabi e Alan Bishop di Sun City Girls. “Laika” riesce ad evocare i minimalisti, anche se nei termini del free jazz degli anni ’60 e ’70; in “One More for the Gutter” Louca mette ingegnosamente metà del suo ensemble contro l’altra metà per creare in modo sinergico un hterreno infuocato. Con “The Palm of a Ghost” si ricorda Il Cairo, attraverso una meditazione araba di melodie spontanee che mescolano i suoni di oud Natik Awayez, del violinista Ayman Asfour e della cantante Nadah El Shazly. La title track dell’album che segue offusca il confine tra composizione e improvvisazione con risultati meravigliosamente atmosferici. “Al Khawaga”, con i suoi colossali riff d’insieme, lo swing meravigliosamente sporco ed il soffio appassionato, è un finale ideale. Realizzare un progetto di tale potenza e grandezza non è stata operazione priva di ostacoli, anche se, come spiega Louca, coi suoi modi disinvolti, è stato più impegnativo ed eccitante di quello che si potrebbe definire difficile. Era un percorso sconosciuto da percorrere e l’ostacolo di ottenere finanziamenti adeguati non era da sottovalutare. E sebbene l’interesse per le arti progressiste sia fiorito in Egitto solo dopo la primavera araba, oggi il paese ospita una solida base di appassionati di musica intelligenti e affamati ma con pochi posti dove assistere agli spettacoli, a causa di vincoli burocratici. Tuttavia, Louca si sente benedetto su tutti i fronti. “Ciò che questi musicisti hanno offerto è stato davvero più di quanto potessi chiedere”, dice. “Tutti hanno suonato il loro cuore su questo disco.”